Storia

Negli oltre quattro secoli della sua presenza a Brescia, la Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri, detta “dei Padri della Pace”, ha sempre cercato di svolgere la sua missione in collaborazione con la Chiesa locale. La sua storia può essere divisa in tre grandi periodi:

 

La prima esperienza eremitica (1539-1540) e la Congregazione diocesana di preti riformati della Pace (1550-1619)

“Vi ho fatti chiamare per vedervi questa volta insieme congregati et abbracciarvi tutti. Vi prego con tutto lo spirito vogliati mantenervi in questa vocatione di servir a Dio, et agiuttare l’anime per puro amor suo, senza interesse alcuno terreno. Cercate Dio solo, e niente vi mancarà, ma haverete il tutto. Amatevi l’un l’altro come veri fratelli, e state uniti con il santo legame della dilettione, che così nessuna forza dell’inferno potrà contro di voi, se sarete col vincolo dell’amore colligati nella santa obbedienza”.
Ultimi ricordi del p. Cabrini (+1570)

I “Padri della Pace” sono uno dei più importanti frutti del ricco, e talvolta inquieto, Cinquecento religioso bresciano. Nelle vicende dei due fondatori, i sacerdoti Francesco Cabrini e Francesco Santabona, si ritrovano infatti alcuni ideali tipici della riforma cattolica pretridentina: un desiderio di ritorno al Vangelo e di riforma della Chiesa, il fascino per il cristianesimo delle origini, una sete di perfezione che seppe passare da un’iniziale ricerca di solitudine contemplativa ad un intenso impegno pastorale a servizio della Chiesa locale.
All’origine della scelta di vita dei futuri “Padri della Pace” vi fu l’infuocata predicazione di un sacerdote itinerante, padre Raffaele, giunto a Brescia con alcuni compagni nel 1639. Affascinati da questo personaggio carismatico, i due amici sacerdoti, inisieme con un laico, il notaio bresciano Giulio Comini, scelsero di ritirarsi a vita eremitica e di penitenza sulle vicine alture dei Ronchi, sul monte detto di Santa Croce.
Dopo pochi mesi soltanto padre Raffaele fu denunciato a Roma come sospetto di eresia – in quegli anni non era difficile incorrere in simili disavventure – e al suo forzato allontanamento dalla città seguì, d’autorità, la fine dell’esperienza comunitaria.
ll Cabrini, che in un primo tempo si era portato a Milano con un compagno, fece dapprima ritorno senza permesso a Brescia – dove per breve tempo fu imprigionato nelle carceri vescovili – e poi si ritirò nella natìa Alfianello, nella Bassa Bresciana. Anche il Santabona, originario di San Felice del Benaco, ritornò sul Garda, a Cisano, da dove non si sarebbe di fatto più allontanato. Queste disavventure spiegano le seguenti, ampie manifestazioni di ortodossia e di obbedienza all’autorità ecclesiastica della comunità che sarebbe sorta intorno ai due sacerdoti.
Nel 1545 il nuovo vicario episcopale chiamò il Cabrini a Brescia come riformatore e confessore del monastero benedettino di Santa Maria della Pace, dal quale sarebbe gli derivato il soprannome di “Padre della Pace” che avrebbe trasmesso ai suoi confratelli fino ad oggi.
Nel 1550 intorno a Cabrini si era già costituita una nuova comunità di sacerdoti “riformati”, operanti in diverse chiese cittadine. Nove anni dopo, alcuni tra loro iniziarono a condurre vita comune in una casa sulle colline dei Ronchi, in Val Tavareda, dove edificarono una casa e una chiesa dedicata a San Giovanni Evangelista.
Le regole della nuova comunità furono approvate per la prima volta nel 1563 da monsignor Domenico Bollani, l’ex che era stato eletto vescovo di Brescia dal 1559. Il grande presule riformatore riconobbe nei discepoli del Cabrini, ormai più di una trentina, un esemplare sodalizio di sacerdoti e volle farne uno strumento per la riforma del clero diocesano. Da qui la scelta di affidare proprio ad essi il nascente seminario, al quale il Cabrini destinò diciotto suoi chierici, e che ebbe come primo rettore un suo fidatissimo discepolo e futuro successore, il toscano Franceco Landini.
La Compagnia della Pace acquisì in quegli anni una fisionomia alquanto particolare. Il Cabrini, che rimaneva nel monastero della Pace, era l’autorevole e amato “Padre” della comunità, anche se per volontà del Bollani, dovette occuparsi, oltre alle monache benedettinem della Dottrina Cristiana e le Dimesse di Sant’Orsola, fondate solo qualche decennio prima da sant’Angela Merici. Il cofondatore Santabona continuava invece risiedere a Cisano, dove si occupava della formazione dei novizi, e il Landini era a capo della casa di Val Tavareda.
Intorno al 1570 padre Cabrini, cedendo alle insistenze del vescovo, si decise a trasferire i suoi confratelli in città, vicino al nascente Seminario. Fece appena in tempo a compiere i preparativi, quando morì, per una caduta da cavallo, il 23 agosto. La prima pietra della nuova casa fu benedetta dal Bollani il 7 aprile 1571. Nel 1573 l’edificio era già ben avanzata, e in quell’anno i padri procedettero ad una revisione delle costituzioni.
Nel 1575 la peste arrivò anche a Brescia e i Padri della Pace si distinsero per l’abnegazione nell’assistenza agli infermi, così come accadde ancora due anni dopo, anche a costo di subire una vera e propria decimazione.
La fama del bene esercitato a Brescia e della santità di vita del Santabona fu all’origine della fondazione di una casa a Verona, sorta per interessamento dell’amico vescovo e cardinale Agostino Valier. Nel 1578 l’arcivescovo Carlo Borromeo chiamò i Padri della Pace a Milano, affidando loro la chiesa di San Giovanni alle Case Rotte. Altre richieste provenirono da diverse città del Nord Italia.
Nel 1581 il Borromeo era a Brescia come visitatore apostolico. Fu anche dai Padri della Pace, celebrando messa nel loro oratorio e fermandosi a mensa con loro. Nei suoi decreti l’arcivescovo manifestò la sua stima per i discepoli di Cabrini e Santabona, parte integrante e qualificata del clero diocesano, invitandoli “a totalmente applicarsi ad una disciplina et vita spirituale reformata, et insieme quanto ponno col aiuto divino attendere alla perfetione et sforzarsi di fare profitto nella via del Signore, et con la dottrina, et con l’innocenza della vita affannarsi volentieri nella salute delle anime”.
Con la visita apostolica ebbe fine l’esperienza delle filiali di Milano e Verona, ritenute non più compatibili con lo status di congregazione di sacerdoti secolari dipendenti dall’ordinario diocesano.
Nel 1588 i Padri decisero di dare inizio alla costruzione di una chiesa propria.
Dedicata alla Purificazione della Vergine, la “Pace Vecchia” fu officiata dalla congregazione fino al trasferimento alla Pallata (la “Pace Nuova”), e successivamente passò ai Teatini, che la dedicarono a san Gaetano da Thiene.
fin dal 1573-1574 il Landini aveva cercato di ottenere un riconoscimento pontificio per il sodalizio di cui era a capo, e finalmente nel 1598 riuscì ad ottenere un breve apostolico con il quale Clemente VIII riconosceva la congregazione “di preti e chierici secolari detta della Pace” ad instar (a somiglianza) di quella dell’Oratorio Romano della Chiesa Nuova, con facoltà di redigere e riformare propri statuti, da sottoporre al vescovo di Brescia. Venne così definitivamente a cadere ogni ipotesi di aggregazione ad una congregazione di chierici regolari, come i Teatini o i Somaschi, che pure erano state prese in considerazione negli anni precedenti.
Tra il 1606 e il 1608, a causa dell’interdetto pontificio su Venezia, la congregazione – rimasta fedele al Papa – visse una dolorosa parentesi di dispersione e di esilio. Sopravvissuta anche a questa prova, la comunità riprese nuovo vigore, come dimostra la nascita di un Oratorio per i giovani sul modello vallicelliano (1608). Padre Francesco Landini era morto pochi mesi prima, dopo ben trentotto anni di governo.
Negli anni successivi, i legami con i discepoli di san FIlippo Neri, che pure esistevano da anni ed erano stati rinsaldati dal soggiorno romano del bresciano Alessandro Luzzago, si fecero sempre più stretti. Nel 1617, due anni dopo la beatificazione, i padri scelsero il Neri come loro padre e protettore, e il 9 settembre 1619 decisero di adottare come proprie le Costituzioni (Instituta) dell’Oratorio romano, che erano state approvate dalla Santa Sede nel 1612. A questa data, quindi, la Congregazione della Pace era divenuta a tutti gli effetti una casa di Padri dell’Oratorio.

La Congregazione dell’Oratorio di san Filippo Neri e il suo sviluppo in età veneta (1619-1797)

I Padri della Pace furono riconosciuti come Congregazione dell’Oratorio da papa Clemente VIII con breve del 17 marzo 1598, e nel 1619 adottarono le Costituzioni dell’Oratorio romano, approvate dalla Santa Sede nel 1612.

La Congregazione dell’Oratorio di san Filippo Neri in Età Veneta

Esaudì il santo le cordiali avanzate istanze e perciò fiorente videsi sempre la Congregazione, composta di soggetti distinti in pietà, saggezza e dottrina. Oltre i nostri bresciani, ne veniva qui d’altre città, di Venezia, di Milano, di Cremona … e tutti intenti erano e premurosi di seguire le orme prescritte, le regole del santo stabilite sulla reciproca carità, che legava i cuori d’ognuno e li conduceva al disimpegno degli assunti doveri, incontrati nell’ascriversi a figli del Neri senza il vincolo dei professati voti. Era il cuore che agiva, era la persuasione delle dolci ed espresse regole della Vallicella, che ricevettero, che gli facevano operare tanto bene in questa vigna eletta. (can. Agostino Maggi, 1754-1830)

A testimonianza del riuscito innesto della “Compagnia della Pace” sul tronco dell’Oratorio, allora in pieno sviluppo, si possono citare sia le solenni funzioni per la memoria liturgica di san Filippo, a partire dal 1620, sia la fastosa processione che, due anni sopo, all’indomani della canonizzazione, portò nella chiesa dei padri le reliquie del nuovo santo. A propiziare la definitiva evoluzione verso il modello filippino erano certamente serviti i soggiorni romani dei padri Chimini e Linaroli e soprattutto di padre Pavoni, che ne avevano riportato una conoscenza diretta degli usi e dello spirito dell’Oratorio di Roma.
Intanto, alla direzione dell’Oratorio dei giovani si era affiancato quello per i Gentiluomini, stabilito presso Santa Maria in Calchera grazie all’eredità del vescovo Averoldi, nel quale iniziò ad avere parte cospicua la musica.
La peste del 1630 vide nuovamente i Padri della Pace dedicarsi generosamente all’assistenza delgi infermi, seppure al prezzo della vita di molti chierici e sacerdoti.
Nei decenni centrali del Seicento la Congregazione iniziò a pensare a una nuova sede, più grande e centrale. Lasciate cadere altre ipotesi, nel 1668, dopo la soppressione pontificia dei Gerolamini di Fiesole, si credette di poter ottenere da Roma il Santuario e il convento delle Grazie. Con grande disappunto dei padri, tuttavia, la chiesa andò ai gesuiti, che si erano intromessi a trattativa già avviata.
Scomparsi gli ultimi confratelli di Cabrini, Santabona e Landini, la Congregazione assunse una fisionomia del tutto simile a quella altre congregazioni filippine del tempo. Moltissimi padri provenivano dalle file dell’aristocrazia, locale e non solo, e molti fra loro avevano conseguito i gradi accademici in teologia o diritto. Questo non impediva, naturalmente, che anche padri di modesta estrazione sociale potessero entrare in comunità: era di famiglia povera il coltissimo padre Cadei, era figlio di un sarto il Raineri… di un modesto argentiere il Crescini…tanto per citare tre fra i più venerati padri del seicento.
La più splendida testimonianza dell’amore per il bello e per il decoro del culto è certamente la nuova chiesa settecentesca: La posa della prima pietra avvenne nel settembre 1720, e il tempio fu consacrato il 24 maggio 1746.
Un altro tesoro della comunità era la ricchissima biblioteca, superata soltanto dalla Queriniana (nella quale sarebbe confluita dopo la soppressione), alla quale molti padri destinarono le loro cure e i loro averi e aperta anche agli studiosi esterni.
Altro lustro venne dall’intensa vita musicale, con la presenza di una vera e propria cappella musicale, guidata da uno dei padri, a servizio della liturgia di chiesa e degli esercizi dell’Oratorio. Particolare cura era riservata agli oratori tenuti la sera delle feste, nei quali la parte musicale e canora aveva assunto un ruolo predominante, fino a trasformarsi quasi in un’opera di argomento sacro. Dalla Pace passarono molti celebri e valenti musicisti bresciani e non, tra i quali Antonio Vivaldi.
Ma la storia della Congregazione non si esaurisce certo nella committenza artistica, o nei meriti culturali
Soprattutto fra di loro ve ne furono molti che si distinsero anche per esemplarità di vita e dedizione alla salute delle anime attraverso l’oratorio, la confessione e la direzione spirituale, l’insegnamento e altre attività di apostolato sacerdotale.
Primo Oratorio filippino fondato nel territorio della Repubblica di Venezia, la Pace di Brescia divenne un modello per le altre comunità fondate in Veneto (Venezia, Verona e Vicenza) e Lombardia (Cremona, Como) come testimonia la numerosa corrispondenza conservata nel nostro Archivio.
In assenza di una vera e propria storia della Congregazione, basta scorrere le brevi biografie composte dal Guerrini sulla scorta di quelle autografe per imbattersi in figure di grande spicco nella via spirituale della città.
Nel 1682 la morte dell’ultimo erede maschio di Bartolomeo Colleoni rese disponibile il palazzo eretto dal condottiero veneto della Pallata, giunto in eredità ad un’opera pia, la “Pietà” di Bergamo, istituita a suo tempo dal condottiero. Concluse le trattative con la proprietà – anche in quest’occasione non mancarono maneggi da parte dei gesuiti – il 1° Novembre 1686 tutta la Congregazione lascia la dimora in Contrada di Breda per insediarsi nell’attuale via Pace. La corte del palazzo venne sacrficata e trasformata nella Chiesa provvisoria e che avrebbe funzionato per oltre sessant’anni. Ma l’animo dei Padri manifesta un grande desiderio di erigere una Chiesa più bella e spaziosa e già nel 1691 decretano questo proposito.

Agli inizi del Settecento i Padri decisero di aprire una Scuola di Teologia, Filosofia e Diritto canonico, che servisse non solo ai loro chierici – continuando così a contribuire alla formazione del clero bresciano anche dopo l’abbandono del Seminario diocesano – ma anche ai laici.
Si trattò di un vero e proprio studio di livello universitario frequentato anche da sacerdoti provenienti da fuori diocesi per la qualità dei suoi docenti (Lettori), che venivano oltre che dalla stessa Congregazione (basti ricordare il p. Almici), dai Domenicani o dai Somaschi.
L’Oratorio bresciano – come fu del resto per molte altre case filippine – trovò tra i suoidi orientamenti antimoliniste e antiprobaibiliste – e antigesuitici – che li rese sospetti di giansenismo, anche per via degli innegabili e cordiali rapporti intercorsi con i principali esponenti del giansenismo bresciano (Guadagnini, Tamburini e Zola), tutti passati anche alla Pace

Molti sono i Padri che si distinsero per cultura o pietà, la lista sarebbe lunga.Va ricordato il padre Tomaso Grossi, che fu a lungo Bibliotecario e ci ha lasciato la storia manoscritta della Congregazione di Brescia. I due fratelli padre Fortunato e Sciarra Martinengo Cesaresco, che arricchirono la congregazione con i loro lasciti e si occuparono, soprattutto il secondo, della fabbrica della nuova Chiesa della Pace. Il padre Marino Grimani veneziano che, dopo una vita attiva nella città lagunare, volle ritirarsi qui alla Pace, dopo aver sistemato i suoi figli ed essere rimasto vedovo. Il padre Antonio Loredan, veneziano, a cui forse si deve la chiamata dell’architetto Giorgio Massari per la fabbrica della Chiesa. Ma il padre che lasciò di sé profonda traccia è stato il padre Pietro Crotta, nobile veneziano, di grande generosità e grande benefattore della Chiesa della Pace, a cui donò generose oblazioni (alcune preziosissime suppellettili sono tutt’ora custodite nella sacrestia della Pace) e fece erigere a sue spese l’Altare di San Filippo Neri e commissionò al Pittoni la pala dedicata a San Carlo.

 

La soppressione giacobina (1797-1822), la restaurazione e la rinascita (dal 1822)

 

Attualmente i Padri della Pace di Brescia, oltre alla cura della chiesa della Congregazione, sono impegnati in una varietà di opere pastorali, tra le quali l’insegnamento scolastico, la collaborazione con alcune parrocchie cittadine, l’assistenza agli studenti universitari e agli scout del gruppo Agesci “Brescia 1”.

 

Per saperne di più:

Paolo Guerrini, La Congregazione dei Padri della Pace, Brescia 1933 (Monografie di storia bresciana, 9)